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La previdenza complementare interpretata nell’ottica del diritto europeo e della costituzione: commento alla sentenza della Cassazione, Sezioni Unite n. 12209/2022.

Cos’è la previdenza complementare? Entro quali limiti possono essere garantiti la portabilità o il riscatto della propria posizione previdenziale al lavoratore che abbia cessato il rapporto di lavoro? In caso di riscatto, devono essere esclusi i contributi versati dal datore di lavoro? Che rilevanza ha la posizione di previdenza complementare? Essa soggiace a principi speciali rispetto ad altri rapporti contrattuali? Entro quali parametri deve essere valutata la posizione individuale? A seconda della gestione del fondo rilevano anche i rendimenti ipotetici?

Recentemente le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono pronunciate su una controversia o, meglio, su due controversie riunite per la comunanza delle questioni giuridiche coinvolte, dipanando alcuni apparenti contrasti giurisprudenziali in tema di previdenza complementare.

Com’è noto, la previdenza complementare costituisce, ormai da tempo, l’elemento fondamentale di due dei tre pilastri del sistema previdenziale italiano.

Tale sistema, infatti, poggia su tre pilastri fondamentali tra i seguenti:

  • La previdenza obbligatoria di natura pubblica (previdenza sociale gestita dall’INPS e dalle casse ed enti di professionisti);
  • La previdenza complementare collettiva (costituita dai fondi ad adesione collettiva, negoziali o preesistenti al 1993);
  • La previdenza complementare individuale (costituita da fondi aperti, ad adesione sia individuale che collettiva, e da piani pensionistici individuali).

l’invecchiamento progressivo della popolazione ha minato la solidità del patto di solidarietà intergenerazionale su cui si basa il funzionamento e il finanziamento della previdenza obbligatoria.

Per superare gli effetti di tale fenomeno, si è resa necessaria l’introduzione della previdenza complementare.

Senza voler approfondire ulteriormente l’argomento, si richiama il quadro generale disponibile sul sito del COVIP, tanto per avere un’idea di cosa sia la previdenza complementare e quale sia la sua origine storica.

Data la natura privatistica dei rapporti sottesi alla previdenza complementare, da tempo si dibatte sulla disciplina applicabile.

A tale natura privatistica, infatti, si associa la innegabile funzione pubblicistica di sostegno economico alla vecchiaia, al pari di qualsiasi forma previdenziale pubblica.

Sotto questo frangente, la Suprema Corte, senza particolare sforzo ermeneutico e sulla scia di quanto già affermato dalla Corte Costituzionale, ha potuto ricondurre anche la previdenza complementare nell’alveo dell’art. 38, comma 2 Cost.

In ragione di quanto sopra, già il legislatore italiano aveva previsto una normativa speciale con funzioni garantistiche, dapprima mediante il d.lgs 124/1993 poi con il d.lgs. 252/2005.

L’esigenza di questa normativa era, come in effetti è tutt’ora, necessitata dalla nuova realtà del mercato del lavoro, sempre più caratterizzato da rapporti precari, temporanei, e da carriere individuali frammentarie.

Una tale frammentazione della vita lavorativa da una parte ha reso insufficiente l’appoggio al solo sistema previdenziale pubblico, dall’altra ha evidenziato l’incombente necessità di trovare validi sistemi previdenziali sussidiari di natura privatistica.

La validità di tali sistemi è, naturalmente, proporzionale al loro grado di affidabilità per il lavoratore che, pertanto, necessita di speciali garanzie a tal fine.

A questa stratificazione normativa interna si è, infine, inserito l’intervento dell’Unione Europea finalizzato a garantire la libertà di circolazione dei lavoratori tra stati membri.

Il fatto che tale intervento si riflettesse positivamente anche all’interno dei singoli stati membri e, nella specie, dello Stato italiano, era inevitabile.

Il venir meno della certezza del c.d. “posto fisso”, cioè la riduzione nel mercato del lavoro delle offerte di rapporti a tempo indeterminato e il proliferare di rapporti atipici, ha comportato la necessità che anche all’interno del territorio italiano fosse agevolata la libera circolazione dei lavoratori favorendo la transizione da un rapporto di lavoro ad un altro, anche tra diversi datori di lavoro.

Si aggiungono, perciò, la direttiva 98/49/CE e, successivamente, la direttiva 2014/50/UE i cui principi sono stati ripresi e affermati dalle Sezioni Unite in commento.

Anche qui, per ulteriori approfondimenti si richiama il sito della Commissione Europea e del COVIP che riporta un dettagliato elenco della normativa Europea in merito.

Indice.

  1. Fattispecie concreta.
  2. Quali sono i quesiti posti all’attenzione delle Sezioni Unite?
  3. Orientamenti giurisprudenziali precedenti al 1992 in tema di portabilità e riscatto.
  4. Orientamenti giurisprudenziali successivi.
  5. Estensione del diritto di portabilità o riscatto anche alle forme pensionistiche preesistenti al 1993.
  6. Rilevanza dell’interpretazione teologica del contesto normativo.
  7. Inserimento della previdenza complementare nell’alveo dell’art. 38 Cost.
  8. Estensione dei principi dell’Unione Europea in riferimento alla previdenza complementare.
  9. Conferma della portabilità o del riscatto da parte delle Sezioni Unite in commento.
  10. Valutazione della consistenza della posizione individuale.
  11. Esclusione dei rendimenti ipotetici.

1 – Fattispecie concreta.

Il caso di specie che ha interessato la Suprema Corte riguarda la vicenda di due lavoratori il cui rapporto di lavoro, cessato tra gennaio e febbraio 2008, era coperto da fondo di previdenza complementare a ripartizione e a prestazioni definite.

Presso il predetto fondo confluivano sia i contributi a carico dei lavoratori stessi che i contribuiti a carico del datore di lavoro.

Successivamente la data di cessazione dei rapporti di lavoro de quibus, era intercorso un accordo tra il datore di lavoro e l’ente gestore del fondo che, con efficacia retroattiva a partire dal 01 gennaio 2008, prevedeva la trasformazione dello stesso fondo in uno a contribuzione definita con finalità liquidatorie dei lavoratori in forza alla data del 06 giugno 2008.

Da tale accordo rimanevano, pertanto, esclusi i ricorrenti.

2 – Quali sono i quesiti posti all’attenzione delle Sezioni Unite?

La Sezione Lavoro assegnataria delle controversie in materia di previdenza complementare ha interrogato le Sezioni Unite sulle seguenti questioni:

  • Portabilità/riscatto della posizione previdenziale, disciplinata originariamente dall’art. 10, d.lgs. n. 124 del 1993 ed oggi dall’art. 14 del d.lgs. n. 252 del 2005, a tutti i fondi complementari c.d. preesistenti, ivi compresi quelli funzionanti secondo il sistema c.d. a ripartizione e a prestazioni definite;
  • Ove riconosciuta la sussistenza del diritto al riscatto della posizione individuale maturata presso un fondo preesistente, a prestazione definita e funzionante secondo il sistema c.d. a ripartizione, individuale le modalità attraverso le quali commisurarne la consistenza;
  • Se detta posizione individuale, nei fondi a prestazione definita, debba essere parametrata ai soli contributi versati (ivi compresi quelli datoriali) o anche ai rendimenti che essi abbiano prodotto o avrebbero potuto produrre.

3 – Orientamenti giurisprudenziali precedenti al 1992 in tema di portabilità e riscatto.

La sentenza in commento si pone in posizione di continuità con la precedente giurisprudenza di legittimità.

Per quanto riguarda la contribuzione versata anteriormente la legge delega 421/1992 già Cassazione, Sezioni Unite, 4684/2015 aveva attribuito natura previdenziale, piuttosto che retributiva, ai versamenti eseguiti dal datore di lavoro, a prescindere dal fatto che il fondo godesse o meno di autonoma personalità giuridica.

Correlativamente, la stessa giurisprudenza aveva affermato che “la mancanza di un nesso di corrispettività diretta fra contribuzione e prestazione lavorativa, e quindi, in buona sostanza, la sostanziale autonomia tra rapporto di lavoro e previdenza complementare, trovano una conferma decisiva nel rilievo che, in caso di cessazione del rapporto senza diritto alla pensione integrativa – il che può verificarsi quando non siano integrati tutti i presupposti per la maturazione del diritto – il dipendente non ha alcun diritto alla percezione dei contributi versati dal datore di lavoro”.

4 – Orientamenti giurisprudenziali successivi.

L’orientamento di cui sopra è stato superato a seguito dell’intervenuto d.lgs. 124/1993 prima e del d.lgs. 252/2005 poi.

Con la sentenza n. 477/2015, infatti, le Sezioni Unite avevano affermato il principio generale della “portabilità/trasferimento del montante contributivo maturato dal lavoratore la cui prestazione lavorativa sia cessata prima della maturazione del diritto alla pensione complementare del quale intenda avvalersi per reimpiegare la propria posizione individuale nell’ambito di un altro programma di previdenza complementare, verso un fondo cui il medesimo lavoratore acceda in relazione ad una nuova attività o, più semplicemente, per riappropriarsi del controvalore monetario esercitando il riscatto”.

La facoltà di esercitare il diritto di riscatto o ottenere la portabilità a prescindere dal maturare o meno dei requisiti pensionistici era, pertanto, già riconosciuta al lavoratore in virtù della nuova disciplina introdotta a partire dal 1993 e poi modificata nel 2005.

5 – Estensione del diritto di portabilità o riscatto anche alle forme pensionistiche preesistenti al 1993.

Le Sezioni Unite in commento hanno, peraltro, ritenuto applicabile il diritto di portabilità o riscatto anche in riferimento ai versamenti contributivi precedenti il d.lgs. 124/1993 sollevando le seguenti eccezioni:

  • L’inconsistenza della tesi dell’inapplicabilità dell’art. 10 del d.lgs. n. 124 del 1993 alle forme pensionistiche preesistenti, giacché il legislatore era ben consapevole che la maggior parte dei fondi esistenti all’epoca del primo intervento riformatore della previdenza complementare erano a ripartizione o a capitalizzazione collettiva;
  • La natura imperativa della norma, dovendo lo statuto del fondo consentire le tre opzioni ivi previste a chi perde i requisiti d’iscrizione senza aver maturato il diritto a prestazione;
  • L’estraneità, alla portabilità enunciata dall’art. 10 cit., della natura previdenziale o retributiva dei contributi.

La Suprema Corte ha rilevato, in proposito, che il dettato normativo vigente “rispecchia la vocazione espansiva della portabilità, estesa a tutti i fondi, anche preesistenti, di qualunque natura, nel mutato assetto del livello di tutela del lavoratore determinato dalla sempre più accentuata flessibilità del mercato del lavoro”.

6 – Rilevanza dell’interpretazione teleologica del contesto normativo.

Nella sentenza si dà molto rilievo all’interpretazione teleologica delle norme vigenti in tema di previdenza complementare.

Viene, in particolare, evidenziato l’obiettivo della citata normativa come risultante dalla Relazione illustrativa della legge delega 243/2004.

Esso viene identificato nello scopo di “favorire la reale liberalizzazione dei diversi veicoli pensionistici complementari e l’affermazione piena di una reale consapevolezza del risparmiatore nella scelta dello strumento ritenuto più idoneo alla realizzazione della copertura previdenziale

Lo stesso quadro normativo generale porta ad un ampliamento delle libertà di scelta dei lavoratori iscritti alle forme pensionistiche complementari, “coerentemente con l’estensione dei margini di libera circolazione nel sistema della previdenza complementare e in una logica di sviluppo, in senso compiutamente europeo, della disciplina nazionale” (vedasi sentenza in commento).

7 – Inserimento della previdenza complementare nell’alveo dell’art. 38 Cost.

Alla luce di quanto sopra appare, in primo luogo, evidente il collegamento funzionale tra previdenza obbligatoria e previdenza complementare, legato alla nuova eterogenea configurazione del mercato del lavoro.

Tale collegamento era stato già rilevato dalla Corte Costituzionale in numerose pronunce (cfr., ex multis, 319/2001) in ragione del concorso della previdenza complementare alla realizzazione dell’obiettivo dell’adeguatezza dei mezzi al soddisfacimento delle esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia, disoccupazione volontaria.

8 – Estensione dei principi dell’Unione Europea in riferimento alla previdenza complementare.

Sorge, in secondo luogo, spontanea l’estensione dei principi già affermatisi in ambito europeo anche all’applicazione delle norme giuridiche interne in tema di previdenza complementare.

La Commissione Europea aveva già avvisato circa il condizionamento inevitabilmente operato dalla disciplina della previdenza complementare sulla libertà di circolazione fra gli stati membri, poiché essa è suscettibile di influenzare il cittadino nella scelta di cambiare occupazione.

Lo stesso fenomeno si registra in ambito interno allo Stato italiano a seguito del nuovo assetto acquisito dal mercato del lavoro.

Si legge al riguardo nella sentenza delle Sezioni Unite in commento: “La consapevolezza, maturata negli anni novanta, della crescente mobilità occupazionale caratterizzante il mercato del lavoro e della conseguente necessità di predisporre strumenti atti a consentire ai lavoratori, esposto al frammentarsi della vita lavorativa e alla differente modulazione dei tempi del lavoro e di abbandono del mondo produttivo scanditi nelle età della vita, di non subire, o quanto meno attenuare, i contraccolpi sul versante previdenziale, ha innervato, dunque, la valorizzazione e l’adeguatezza della protezione sociale, dalla Carta dei diritti fondamentali (art 34) alla protezione del tenore di vita degli anziani (Direttiva 2014/50/UE) procedendo poi con l’armonizzazione delle norme, nell’ordinamento interno, espressa con il sistema integrativo riformato nel 2005 e l’esegesi compendiata nella sentenza 477 cit. con l’affermazione della regola generale della portabilità”.

In questo mutato contesto i principi europei appaiono di assoluta attinenza.

Per approfondimenti sulla normativa europea in tema di previdenza complementare si rimanda a questa pagina del sito del COVIP.

9 – Conferma della portabilità o del riscatto da parte delle Sezioni Unite in commento.

Date tutte le premesse delineate, appare scontata la conclusione cui sono giunte le Sezioni Unite del 2022 affermando: “l’impronta solidaristica nel sistema pensionistico di secondo livello dei fondi a prestazione definita e la libera circolazione dei lavoratori non si elidono, ma coesistono nel riconoscimento dell’assenza di limiti alla portabilità con riferimento a tutti i fondi pensionistici preesistenti, a prescindere dal relativo regime e sistema di gestione, garantendo maggior protezione per il lavoratore che, cessato il rapporto lavorativo, può giovarsi della portabilità o riscattabilità della propria posizione anche prima di aver maturato il diritto a pensione”.

Esse hanno poi precisato che “la portabilità è intrinseca alla posizione soggettiva del lavoratore partecipante al fondo e viene meno solo al verificarsi delle condizioni per la maturazione del diritto al trattamento pensionistico integrativo”.

Si riconferma perciò il precedente orientamento determinato da un generale favor lavoratoris e già affermatosi con la precedente sentenza 477/2015 citata.

10 – Valutazione della consistenza della posizione individuale.

Acclarata la sussistenza del diritto alla portabilità o al riscatto, si pone il problema del calcolo della consistenza economica della singola posizione previdenziale.

Al riguardo sempre la Corte di Cassazione ha affermato che la posizione individuale è determinata dalla somma dei contributi versati dal datore di lavoro e dal lavoratore.

Di tal che, in base a questa consistenza economica il lavoratore è sempre legittimato a chiedere il riscatto anche della contribuzione versata dal datore di lavoro a favore dello stesso lavoratore.

Ciò anche qualora la prestazione pensionistica non possa essere erogata per cessazione del fondo, nel qual caso il riscatto rimane l’unica forma satisfattoria percorribile per il lavoratore.

In virtù, tuttavia, della funzione pubblicistica svolta dalla previdenza complementare, il riscatto resta estraneo all’istituto disciplinato dall’art. 2033 c.c. e ai relativi limiti.

Unica eccezione riguarda l’ammissibilità “dell’esclusione, dalla base di calcolo delle indennità collegate alla cessazione del rapporto di lavoro dei versamenti eseguiti dal datore di lavoro nei fondi di previdenza complementare, con particolare riferimento alla contribuzione di solidarietà, nella misura del 10 per cento, da corrispondere all’istituto di previdenza obbligatoria”.

11 – Esclusione dei rendimenti ipotetici.

Stante la natura pubblicistica del rapporto di previdenza complementare, le Sezioni Unite hanno ritenuto di estendere in via analogica le norme protezionistiche già previste in tema di società di capitali.

Nello specifico il patrimonio del Fondo di previdenza complementare, poiché vincolato a precipue finalità previdenziali, può essere qualificato come “patrimonio di destinazione” disciplinato dall’art. 2117 c.c.

Esso soggiace a norme garantistiche maggiormente restrittive sulla gestione patrimoniale e sugli investimenti, come previsto dagli artt. 2447 e ss, c.c.

In base al rendimento effettivo di tali investimenti, potrà essere determinata la misura della singola posizione individuale.

Non è, tuttavia, ammissibile un incremento giudizialmente stabilito della posizione individuale basato solamente su rendimenti che si sarebbero potuti raggiungere ma che on sono stati raggiunti a causa delle scelte di investimento eseguite sul patrimonio del fondo.

Ai fini della commisurazione della prestazione, pertanto, non è possibile prendere in considerazione meri rendimenti ipotetici.

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