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Salute e sicurezza sul lavoro: limiti al potere di controllo del datore di lavoro

Che cosa si intende per “salute e sicurezza sul lavoro”?
Quali sono le principali fonti normative che ne delineano la disciplina generale?
Entro quali limiti il datore di lavoro può imporre obblighi ed effettuare controlli sul lavoratore?

Il concetto di “tutela della salute e sicurezza sul lavoro” viene inteso nella sua duplice connotazione individuale e collettiva.

Esso trova la sua base costituzionale nell’art. 32 della Costituzione dove il diritto alla salute è inteso, nel contempo, come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività.

Nello stesso art. 32, tuttavia, è insito anche un principio di bilanciamento tra le due dimensioni del diritto alla salute poiché nessuno può predominare a discapito dell’altro.

Non per nulla al comma 2 sussiste un limite invalicabile da chiunque (legislatore compreso): il rispetto della persona umana.

Concetto analogo, d’altronde, si rinviene nell’art. 41 Costituzione laddove si sancisce la libertà di iniziativa economica privata purché esercitata nel rispetto della libertà e dignità umana.

Da questa norma ha, pertanto, origine sia il potere di controllo datoriale sull’organizzazione del lavoro d’impresa sia il limite invalicabile e inderogabile a detto potere di controllo.

Indice

  1. Diritto alla salute come diritto all’integrità psicofisica.
  2. Che natura hanno gli obblighi a carico del lavoratore in ordine alla salute e sicurezza sul lavoro?
  3. Quali sono gli obblighi a carico del lavoratore in ordine alla salute e sicurezza sul lavoro?
  4. Quali sono i limiti generali al potere di controllo datoriale?
  5. Quali sono i limiti specifici al potere di controllo del datore di lavoro?
  6. Quali sono i limiti in riferimento ai dati sanitari sensibili?
  7. Chi può svolgere i controlli sulla salute e sicurezza sul lavoro? Ruolo del medico competente.
  8. Illiceità del trattamento dei dati sanitari da parte del datore di lavoro.
  9. Funzionalità della tutela della riservatezza con la libertà di autodeterminazione.
  10. Che validità hanno le norme sulla privacy anche in tema di salute e sicurezza sul lavoro?

1. Diritto alla salute come diritto all’integrità psicofisica.

Il diritto alla salute non deve essere inteso solo come mera assenza di malattia, ma ha una connotazione più generale come diritto dell’individuo a vivere in condizioni ambientali e di lavoro salubri (o più salubri possibile).

Da qui trovano origine gli obblighi di tutela della salute e sicurezza sul lavoro che l’art. 2087 codice civile pone a carico del datore di lavoro.

2. Che natura hanno gli obblighi a carico del lavoratore in ordine alla salute e sicurezza sul lavoro?

Sorge, conseguentemente, a carico del lavoratore l’obbligo di rispettare le misure che il datore di lavoro, in ossequio alla normativa vigente in tema di salute e sicurezza sul lavoro, ha predisposto.

Questi obblighi sono, com’è noto, riassunti nel Decreto legislativo 81/2008.

La loro violazione integra un illecito disciplinare poiché, in qualche modo, essi sono da ricondursi al vincolo contrattuale sussistente tra datore di lavoro e lavoratore dipendente.

3. Quali sono gli obblighi a carico del lavoratore in ordine alla salute e sicurezza sul lavoro?

Proprio al primo comma dell’art. 21 del decreto legislativo 81/2008 emerge la duplice natura, individuale e collettiva, del diritto alla salute.

Il lavoratore, infatti, è tenuto a preservare la propria salute e, con riferimento alle azioni od omissioni commesse, quella dei soggetti che si trovano sul luogo di lavoro.

Egli, d’altra parte, è sottoposto a obblighi di collaborazione e forme di controllo datoriale, compresi controlli sanitari previsti dal decreto legislativo 81/2008 o disposti, ai fini della sicurezza sul lavoro, dal medico competente.

4. Quali sono i limiti generali al potere di controllo datoriale?

I limiti generali si sono visti in premessa e riguardano il rispetto della persona, libertà e dignità umana.

Lungi dall’essere concetti astratti, essi acquisiscono una dimensione concreta ben precisa.

Il rispetto della persona umana, in primo luogo, implica l’impossibilità per il datore di lavoro di imporre qualsiasi tipo di trattamento sanitario, diagnostico, farmacologico essendo questa prerogativa del legislatore.

In secondo luogo, esso comporta che l’interesse della collettività non possa prevaricare fino al punto di determinare la menomazione grave della persona o il sacrificio integrale di alcuna vita umana.

Senza entrare nel dettaglio, ma rimandando ad altra eventuale occasione di approfondimento, sotto questo frangente si richiami qui soltanto il consolidato orientamento della Corte Costituzionale introdotto con la sentenza 307/1990 e illustrato nel dettaglio in questa rassegna.

Lo stesso concetto di “rispetto della persona umana” racchiude, altresì, in se stesso i concetti di libertà e dignità umana intesi come tutela della riservatezza del lavoratore al fine di preservare la sua capacità di autodeterminazione (vedasi Corte Costituzionale sentenza 2018/1994, tutelandolo da qualsivoglia intento o comportamento potenzialmente discriminatorio.

5. Quali sono i limiti specifici al potere di controllo del datore di lavoro?

Preliminarmente si rileva la sussistenza di precise disposizioni nazionali che vietano al datore di lavoro trattare dati non pertinenti e non attinenti alla valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore.

Si vedano in tal senso l’art. 8 della l. 20 maggio 1970, n. 300 (nota anche come Statuto dei lavoratori e l’art. 10 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276.

A questi si aggiungono gli ulteriori limiti dettati dalle norme in materia di tutela dei dati sulla salute.

6. Quali sono i limiti in riferimento ai dati sanitari sensibili?

Il principio fondamentale che presiede questo potere di controllo “sanitario” è, tuttavia, un generale divieto.

Seppur in riferimento alla idoneità del lavoratore (quindi non alla sicurezza e salute sul lavoro), una prima indicazione della vigenza di questo divieto si rinviene nell’art. 5 legge 300/1970.

La norma dispone un generale divieto di eseguire “accertamenti da parte del datore di lavoro sulla idoneità e infermità per malattia o infortuno del lavoratore dipendente”.

In vero non viene inibita del tutto la possibilità di controlli e accertamenti ma essi devono essere eseguiti da soggetti terzi e svincolati dal datore di lavoro.

Esemplificativamente, nel caso specifico della malattia comportante una inidoneità temporanea, gli accertamenti sulla effettività del fenomeno possono essere effettuati da enti di diritto pubblico che hanno facoltà di eseguire accertamenti medici sul dipendente.

Il rifiuto da parte di quest’ultimo a sottoporsi ai citati accertamenti viene sanzionato con l’assenza ingiustificata, contestata preliminarmente onde consentire l’esercizio del diritto di difesa.

7. Chi può svolgere i controlli sulla salute e sicurezza sul lavoro?
Ruolo del medico competente.

Come di recente l’Autorità Garante della Privacy ha avuto modo di ribadire con un proprio parere e citando gli artt. 25, 39 e 41 decreto legislativo 81/2008, la sorveglianza sanitaria anche in ordine alla salute e sicurezza sul lavoro spetta al medico competente.

Quest’ultimo, infatti e conformemente a quanto prescritto dall’art. 9, par. 3, Regolamento UE 679/2016, è un soggetto indipendente dal datore di lavoro che opera nell’interesse pubblico e con l’obbligo del segreto professionale.

D’altra parte, sempre il Garante con proprio atto di indirizzo e controllo in tema di vaccinazioni aziendali ha precisato che sussiste un “divieto, per il datore di lavoro, di trattare i dati personali relativi a tutti gli aspetti connessi alla vaccinazione dei propri dipendenti”.

8. Illiceità del trattamento dei dati sanitari da parte del datore di lavoro.

Per un ulteriore approfondimento dei limiti in tema di privacy e trattamento dei dati sanitari sensibili si rimanda a questo articolo.

In questa sede si può ritenere che l’affermazione sia, certamente, estensibile a tutti i dati sanitari in genere, dato che il Garante della Privacy ha fatto derivare l’assunto dallo squilibro nel rapporto tra datore di lavoro e lavoratore, tenendo conto del principio enunciato nel Considerando 43 del Regolamento UE 679/2016 di cui si riporta, per opportuna conoscenza, il testo integrale:

Per assicurare la libertà di prestare il consenso, è opportuno che il consenso non costituisca un valido fondamento giuridico per il trattamento dei dati personali in un caso specifico, qualora esista un evidente squilibrio tra l’interessato e il titolare del trattamento, specie quando il titolare del trattamento è un’autorità pubblica e ciò rende pertanto improbabile che il consenso sia stato prestato liberamente in tutte le circostanze di tale situazione specifica. Si presume che il consenso non sia stato liberamente prestato se non è possibile prestare un consenso separato a distinti trattamenti di dati personali, nonostante sia appropriato nel singolo caso, o se l’esecuzione di un contratto, compresa la prestazione di un servizio, è subordinata al consenso sebbene esso non sia necessario per tale esecuzione”.

Pertanto, anche qualora il lavoratore abbia prestato il proprio consenso, il trattamento di dati sanitari sensibili da parte del datore di lavoro sarà da considerarsi comunque illecito, non trovandosi il lavoratore libero di autodeterminarsi nelle proprie scelte.

Da ciò nessuna conseguenza disciplinare può derivarne dal mancato consenso.

9. Funzionalità della tutela della riservatezza con la libertà di autodeterminazione del lavoratore.

L’assunto è corroborato da un’ulteriore citazione che ha fatto al riguardo il Garante della Privacy riferendosi, in nota, alla Corte di Giustizia, Grande Sezione, sentenza 11 settembre 2018, causa C-68/17: “il principio della parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro [..] trova la sua fonte in diversi atti internazionali e nelle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, ma ha il solo obiettivo di stabilire, in queste stesse materie, un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate su diversi motivi, tra i quali la religione o le convinzioni personali”.

Di talché qualsiasi controllo sui dati sanitari sensibili del lavoratore è precluso al lavoratore onde evitare che essi siano strumentalizzati al fine di esercitare atti di condizionamento e violenza morale nei confronti della parte contrattuale più debole.

10. Che validità hanno le norme sulla privacy anche in tema di salute e sicurezza sul lavoro?

Tutte le norme sopra citate non sono state abrogate e, pertanto, devono ritenersi pienamente in vigore.

È, peraltro, appena il caso di precisare che l’art. 9, par. 3 Regolamento UE 679/2016 costituisce una norma predominante

Sia l’autorità giudiziaria nazionale che, per giurisprudenza amministrativa quasi unanime almeno fino al 2020, le pubbliche amministrazioni hanno l’obbligo di attuare la norma comunitaria anche, eventualmente, disapplicando norme interne incompatibili.

Ciò implica che qualsiasi norma interna, nella sua applicazione, debba essere interpretata compatibilmente con il citato regolamento e, ove ciò non sia possibile in quanto inevitabilmente contrastante, debba essere disapplicata.

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