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Obbligo vaccinale del personale sanitario e vaccini covid-19: cosa sostiene il consiglio di stato nella sentenza 7045/2021?

Quali sono i presupposti di fatto e giuridici su cui si basa la sentenza 7045/2021 del Consiglio di Stato in tema di obbligo vaccinale del personale sanitario?
La sentenza è in linea con l’orientamento consolidato della Corte Costituzionale?

Con la sentenza n° 7045/2021 reperibile qui, il Consiglio di Stato si è pronunciato in ordine a un ricorso collettivo presentato da diversi sanitari avverso provvedimenti con i quali varie Aziende Sanitarie del Friuli Venezia Giulia avevano applicato o iniziato ad applicare la normativa inerente l’obbligo vaccinale introdotto con decreto legge 44/2021 convertito con modifiche in legge 76/2021

Il Tar si era pronunciato negativamente in primo grado, dichiarando l’inammissibilità del ricorso dopo aver ritenuto che nell’azione introduttiva proposta cumulativamente non vi fosse identità di petitum e causa petendi in riferimento ai molteplici ricorrenti (sanitari di varia natura i cui procedimenti ai sensi del dl 44/2021 si trovano in stati diversi) quali attori dell’unico ricorso proposto in forma collettiva.

Superate alcune questioni pregiudiziali di inammissibilità dichiarate dal TAR con la sentenza di primo grado oggetto di impugnazione, il Consiglio di Stato ha ritenuto di doversi pronunciare nel merito concludendo, tuttavia, con un rigetto del ricorso.

Nel proseguo della trattazione si vedranno, in sintesi, le motivazioni che hanno spinto il CdS a decidere, comunque, per il rigetto e, approfondendo con la lettura congiunta del precedente articolo sulla giurisprudenza della Corte Costituzionale, il lettore potrà valutare autonomamente la rispondenza o meno con gli orientamenti ancora attuali (perché non smentiti da successive pronunce).

Indice

  1. Cosa sostiene il Consiglio di Stato nella sentenza n° 7045/2021?
  2. In cosa si sostanzia l’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata dell’EMA (CMA)?
  3. Cosa ha ritenuto il Consiglio di Stato in riferimento alla CMA rilasciata per i vaccini COVID-19?
  4. Quali sono le basi del giudizio di bilanciamento tra interesse alla salute pubblica e diritti individuali inviolabili e incomprimibili?
  5. Valutazione del rapporto rischio/beneficio in riferimento alla sola collettività o anche in considerazione del singolo soggetto all’obbligo vaccinale?
  6. Cosa ha affermato la Corte Costituzionale in riferimento al rischio individuale?
  7. Come è stato valutato il rapporto rischi/beneficio dal Consiglio di Stato?
  8. Valutazione del rapporto rischi/beneficio in riferimento al nono rapporto AIFA.
  9. Quali sono le basi del giudizio di bilanciamento effettuato dal Consiglio di Stato?
  10. Valutazione rischi/beneficio in riferimento al COVID-19.
  11. Conclusioni.

1. Su quali presupposti di fatto il Consiglio di Stato si è basato nella sentenza n° 7045/2021?

Le argomentazioni esposte in sentenza hanno riguardo, principalmente, i seguenti presupposti di fatto:

2. In cosa si sostanzia l’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata dell’EMA (CMA)?

L’autorizzazione dei vaccini COVID-19 è un’autorizzazione condizionata (CMA) rilasciata dall’EMA ai sensi del regolamento CE 507/2006.

Per ulteriori approfondimenti si rimanda a questo articolo, in questa sede ci si limita a ricordare che essa, come ha precisato il CdS, è condizionata giacché emessa in presenza di dati clinici incompleti forniti dalla stessa casa farmaceutica richiedente che ha l’onere di completare tutti gli studi necessari entro il termine indicato nella stessa CMA.

3. Cosa ha ritenuto il Consiglio di Stato in riferimento alla CMA rilasciata per i vaccini COVID-19?

Poiché la CMA è stata rilasciata sulla base di una procedura preesistente da diverso tempo e pur riconoscendo l’incompletezza dei dati clinici su cui essa si basa, il Consiglio di Stato ha ritenuto la stessa sufficientemente idonea a garantire la sicurezza generalizzata dei farmaci utilizzati per le vaccinazioni anti COVID-19 oggetto dell’obbligo vaccinale disposto a carico del personale sanitario.

Lo stesso CdS ha specificato che l’attendibilità sarebbe comprovata dall’ampio utilizzo che di questo tipo di autorizzazioni è stato fatto in precedenza per numerosi altri farmaci in ambito oncologico, considerando queste fattispecie come termine di paragone.

Poiché, tuttavia, il regolamento CE 507/2006 parla di “rapporto rischio/beneficio del medicinale”, occorre chiedersi se tale rapporto preso in considerazione dal CdS possa essere considerato in riferimento al caso specifico di ciascun individuo oppure si riferisca alla collettività intesa nella sua interezza.

L’attendibilità dell’autorizzazione al commercio non è, infatti, presupposto sufficiente per determinare un obbligo di trattamento sanitario poiché mettere a disposizione un farmaco che può essere utilizzato liberamente, secondo valutazioni personali in ordine all’opportunità dell’utilizzo e al rapporto rischio/beneficio, è cosa differente dal renderlo obbligatorio senza possibilità di scelta.

4. Quali sono le basi del giudizio di bilanciamento tra interesse alla salute pubblica e diritti individuali inviolabili e incomprimibili?

La Corte Costituzionale ha ritenuto, come noto e vedasi esemplificativamente la storica sentenza 307/1990, che sia ravvisabile la legittimità di un obbligo di trattamento sanitario solo ove, tra le altre cose, sia garantita l’incomprimibilità di un nucleo inviolabile del diritto individuale alla salute che si sostanzia nella integrità fisica e nella vita.

Non è ammissibile un obbligo relativo a un trattamento sanitario che, anche solo potenzialmente o in minima misura, ponga a rischio l’integrità fisica o, addirittura, la vita del soggetto (vedasi sentenza 218/1994). soprattutto qualora questo rischio sia già noto a priori.

Si tratta, pertanto, di svolgere una valutazione su un ben preciso rapporto rischio/beneficio circoscritto ai potenziali rischi di eventi avversi gravi o mortali a cui il singolo potrebbe andare in contro.

Il rapporto rischio/beneficio, pertanto, non può essere svolto in riferimento a meri dati statistici che ne considerano la positività solo in riferimento a tutta la collettività.

Occorre chiedersi, piuttosto, se il soggetto sottoposto a obbligo incontri o meno rischi noti di grave menomazione della propria integrità personale o della propria vita.

Necessaria appare, quindi, la ricerca dei passaggi logici svolti dal Consiglio di Stato nella sentenza 7045/2021 riguardanti il giudizio di bilanciamento tra i diritti individuali incomprimibili (relativi principalmente, secondo la Suprema Corte, alla integrità fisica e alla vita) e l’interesse collettivo della salute pubblica.

Ai fini del solo rilascio della CMA sicuramente il regolamento CE fa riferimento ad una valutazione del rapporto rischio/beneficio riferita all’intera collettività.

5. Valutazione del rapporto rischio/beneficio in riferimento alla sola collettività o anche in considerazione del singolo soggetto all’obbligo vaccinale?

Come precisato, il C.d.S. ha, in un primo momento, considerato valido come termine di paragone ai fini del giudizio di bilanciamento tra diritti individuali e interessi collettivi l’ampio uso in ambito oncologico di farmaci autorizzati con CMA.

Si può sostenere che, per quanto riguarda l’uso proficuo in ambito oncologico di tali farmaci, i soggetti che si sono avvalsi di essi erano, presumibilmente, esposti ad un rischio sanitario intrinseco e specifico determinato dal proprio personale stato di salute caratterizzato dalle patologie già in atto.

I farmaci oncologici di cui trattasi, infatti, sono importati in riferimento a malattie gravemente debilitanti (spesso letali) per le quali i pazienti non disporrebbero, altrimenti, di terapie alternative sufficientemente valide.

Si veda, a titolo informativo, quanto precisato in questo articolo.

Questi soggetti non erano, inoltre, sottoposti ad alcun obbligo poiché hanno usufruito volontariamente e liberamente dei prodotti farmaceutici di volta in volta interessati dalle varie CMA.

In questo caso, gli utilizzatori di tali farmaci hanno potuto svolgere un giudizio di rapporto rischio/beneficio specifico per la loro personale condizione e scegliere liberamente in base a questo giudizio.

In riferimento a soggetti sani occorrerebbe svolgere altro tipo di valutazioni, giacché il rapporto rischio/beneficio è sicuramente invertito rispetto a soggetti che presentano patologie pregresse gravi (come, per l’appunto, i malati oncologici).

Ai fini dell’obbligatorietà del farmaco occorrerebbe, quindi, valutarne l’opportunità non in riferimento ad una determinata cerchia di individui (ad esempio individui fragili), bensì in riferimento al potenziale rischio che chiunque dovrebbe affrontare, soprattutto chi a monte ed in assenza del trattamento sanitario non si troverebbe in alcuna situazione di rischio in rapporto alla patologia interessata mentre, in presenza dell’obbligo, si troverebbe suo malgrado ad affrontare il rischio relativo al trattamento stesso.

Sempre, infatti, tornando al paragone con i malati oncologici, questi, come rilevato, si trovano già in una situazione iniziale di rischio elevato determinata dalla malattia stessa, per cui potrebbe rivelarsi proficuo affrontare i rischi del farmaco in quanto potenzialmente inferiori (quandanche fosse un farmaco con gravi effetti collaterali).

6. Cosa ha affermato la Corte Costituzionale in riferimento al rischio individuale?

Proprio in riferimento al rischio specifico individuale si deve tenere in considerazione la costante giurisprudenza della Corte Costituzionale che, pronunciandosi più volte, in tema di trattamenti sanitari obbligatori ne ha ammesso la legittimità solo ove sia prevista la certezza in ordine alla innocuità del trattamento intesa come assenza di rischi per la salute dell’obbligato.

In tal senso non pare ammissibile un giudizio sul rapporto rischio/beneficio riferito alla sola collettività (rischio collettivo/beneficio collettivo).

D’altra parte, tutte le sentenze relative alla legittimità degli obblighi vaccinali (da ultima la già citata sentenza della Corte Costituzionale 05/2018) hanno sempre riguardato farmaci dotati di autorizzazione ordinaria completa di tutti gli studi clinici, senza sovrapposizioni di fasi valutative o riduzione dei tempi di studio ed osservazione degli effetti anche a breve e lungo termine.

7. Come è stato valutato il rapporto rischi/beneficio dal Consiglio di Stato?

La sentenza in esame, invece, si discosterebbe da questi presupposti di fatto dato che, come precisato al p.to 26.4 della stessa, la natura della CMA impone al titolare di “completare gli studi in corso o a condurre nuovi studi al fine di confermare che il rapporto rischi/beneficio è favorevole”.

Parimenti, il CdS parrebbe, altresì, discostarsi dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale in ordine al giudizio di bilanciamento.

Al p.to 30.7, infatti, si legge: “in fase emergenziale… di fronte al bisogno…di tutelare la salute pubblica…il principio di precauzione… opera in modo inverso… perché richiede al decisore pubblico… di imporre l’utilizzo di terapie che, pur sulla base di dati non completi… assicurino più benefici che rischi, in quanto il potenziale rischio di un evento avverso per un singolo individuo, con l’utilizzo di quel farmaco, è di gran lunga inferiore del reale nocumento per una intera società, senza l’utilizzo di quel farmaco”.

È evidente che il Collegio ha valutato il rapporto rischio/beneficio esclusivamente in termini generalisti, cioè in riferimento alla collettività e non al singolo.

8. Valutazione del rapporto rischi/beneficio in riferimento al nono rapporto AIFA.

Il Collegio si è espresso in tal senso riferendosi al “favorevole rapporto costi/benefici della loro somministrazione su larga scala”, senza considerare il rapporto rischio/beneficio individuale.

Prosegue, infatti, il giudicante nel ritenere tollerabile un rischio generale del 14,4% di eventi avversi gravi rispetto alle dosi di vaccino somministrate (pari a 17 eventi gravi ogni 100.000 dosi), di cui il 43% (più di 7 ogni 100.000 dosi iniettate) sicuramente correlabili alla somministrazione dei farmaci, come attestato dal 9° rapporto AIFA pubblicato il 12/10/2021.

Il CdS non ha, inoltre, tenuto in considerazione le morti sicuramente correlate in base al citato rapporto AIFA e pari a 16.

Alla luce del nono rapporto AIFA sembrerebbe sussistere un rischio individuale noto e suscettibile di rappresentare un concreto pericolo che possa essere compresso l’inviolabile diritto individuale alla integrità fisica o, addirittura, alla vita.

Non è dato, infatti, preventivamente sapere se l’individuo sottoposto a obbligo vaccinale ricada malauguratamente nella percentuale di rischio grave certamente correlabile sia in riferimento agli eventi avversi gravi che, soprattutto, ai decessi.

9. Quali sono le basi del giudizio di bilanciamento effettuato dal Consiglio di Stato?

Il CdS ha ritenuto, invece, che le percentuali di cui al citato rapporto AIFA (in realtà in riferimento ai soli eventi gravi poiché, come detto, non sono stati considerati gli eventi con esito fatale) confermerebbero l’esistenza di un “bilanciamento rischi/benefici accettabile”.

A sostegno di ciò il Collegio afferma che i danni derivanti dai vaccini COVID-19 sarebbero tollerabili giacché rispondenti a un “criterio di normalità statistica” senza, invero, approfondire quali sono i rischi statisticamente accertati, ad esempio, per tutti gli altri vaccini già dichiarati obbligatori.

Non occorre, peraltro, ricordare che questi ultimi sono tutti dotati di AIC ordinaria poiché per essi tutti gli studi clinici sono stati eseguiti in modo completo e senza sovrapposizioni delle varie fasi nel tempo con valutazione, pertanto, anche degli effetti a medio e lungo termine.

Se si considera, infatti e a titolo meramente esplorativo, il rapporto AIFA sulle vaccinazioni obbligatorie somministrate nell’anno 2018 solo 3,1 segnalazioni di eventi gravi per 100.000 dosi sono state dichiarate correlabili e nessun evento morte (con esiti fatali) è stato dichiarato o, comunque non sussistono eventi con esito fatale correlabili.

Gli eventi correlabili riportati nel citato rapporto del 2018 riguardano, peraltro, un intero anno a fronte di circa 8 mesi relativi al nono rapporto sui vaccini COVID-19.

Il rapporto del 2018, inoltre, comprende l’osservazione non già di tre soli farmaci bensì di una molteplicità di farmaci (tanto per citarne alcuni: vaccini esavalenti, trivalenti, tetravalenti, meningococco, pneumococco, rotavirus, epatite a, epatite B, HPV, morbillo, parotite, rosolia, varicella, antinfluenzali, etc.).

10. Valutazione rischi/beneficio in riferimento al COVID-19.

Il CdS ha ritenuto a priori, maggiormente rilevante il rischio di trasmissibilità della malattia COVID-19 rispetto ai rischi ignoti e indeterminati degli effetti a medio e lungo termine (oltre quelli a breve termine già ritenuti statisticamente normali e accettabili).

Più precisamente, il Collegio ha precisato, da una parte, che i soggetti esposti a rischio sono i soggetti già affetti da patologie pregresse (definiti “fragili”) e che l’esigenza di tutela della salute pubblica deve identificarsi, soprattutto, con l’esigenza di tutela di questi ultimi.

Ciò è confermato dalle affermazioni di cui al p.to 30.9 in cui si ritiene che “in un ordinamento democratico la legge non è mai diritto dei meno vulnerabili o degli invulnerabili… ma tutela dei più vulnerabili”.

A sostegno è stata, per la prima volta, citata una sentenza della Corte Costituzionale (n° 75/1992) riguardante rapporti tra istituzioni politiche e associazioni di volontariato, in cui si afferma che la solidarietà è la base della convivenza sociale.

Poiché, quindi, è stata data maggiore rilevanza al rischio specifico per i soggetti “fragili” con determinate patologie pregresse in riferimento al COVID-19, è stato altresì ritenuto, da un lato, accettabile il rischio noto nel breve termine (quello illustrato nel nono rapporto AIFA), dall’altra, irrilevante il rischio ignoto nel medio e lungo termine cui i soggetti obbligati (i sanitari) andrebbero in contro con la somministrazione dei Vaccini COVID-19.

In quest’ottica si può comprendere perché non sia stato preso in considerazione il nono rapporto AIFA nella parte in cui riporta un maggiore rischio individuale in riferimento alla somministrazione dei farmaci per la fascia di età da 20 a 59 anni: proprio la fascia interessata dai lavoratori soggetti ad obbligo di trattamento sanitario.

Secondo il CdS, infatti, il principio solidaristico (che tutela la collettività) dovrebbe prevalere sull’interesse individuale all’autodeterminazione nella scelta del trattamento sanitario.

Non viene, invece, preso in considerazione il coinvolgimento del diritto individuale alla salute, inteso nel suo nucleo primario della integrità fisica e della vita, poiché ricompreso in quel rischio “statisticamente normale” e, perciò, ritenuto collettivamente accettabile nel senso che la grave menomazione o la morte di pochi individui non sarebbe suscettibile di incidere su una collettività di milioni di persone.

11. Conclusioni

In conclusione, la sentenza opera un giudizio di bilanciamento del tutto a favore dell’diritto collettivo alla salute, non anche del diritto individuale poiché si ammette un rischio di eventi avversi gravi e addirittura di eventi fatali che, seppur percentualmente ridotti in termini statistici, non sono affatto escludibili, senza considerare l’assoluta incertezza in ordine al breve e lungo termine.

Il diritto collettivo alla salute è, inoltre, riferito ai soli soggetti fragili (cardiopatici, diabetici, oncologici), escludendo del tutto i soggetti sani o meno vulnerabili (senza specificare chi appartenga a tale categoria).

Secondo il C.d.S., infatti, in un regime democratico la legge non tutela questi ultimi ma solo i primi (p.to 30.9).

Si spiega, pertanto, la tollerabilità di un rischio di morte di 16 persone sul totale delle dosi somministrate al 26 settembre 2021 e di un rischio di eventi gravi di oltre 7 ogni 100.000 dosi somministrate.

Il rischio a carico dei sanitari, oltretutto, sarebbe giustificato sulla base della presupposta certezza in ordine alla efficacia profilattica del vaccino che annullerebbe quasi completamente la trasmissione del virus, come precisato dal p.t 42 e ss. della sentenza.

Non si approfondisce qui la questione poiché nemmeno il Consiglio di Stato ha, al riguardo, citato studi clinici ufficiali in tal senso e, per la verità, non ha citato alcuno studio clinico.

In chiusura si osserva la presenza, tra le pieghe della pronuncia del Consiglio di Stato, di una importante apertura giurisprudenziale, ai p.ti 43 e ss., in ordine alla risarcibilità del danno da vaccini COVID-19 per la quale non sembrerebbe rilevare la sottoscrizione della liberatoria da parte dei sanitari che hanno, invece, partecipato alla campagna vaccinale.

La questione meriterebbe, comunque, un separato approfondimento.

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